Cosa fare in caso di delegazione di pagamento rifiutata?
La delegazione di pagamento (o prestito con delega) può essere richiesto dai dipendenti che hanno una cessione del quinto in corso. Il fatto che questi due finanziamenti siano legati tra di loro e che funzionino in modo analogo può far pensare che anche i criteri di approvazione e i requisiti siano uguali.
Ci sono invece delle differenze che possono aumentare notevolmente la possibilità di trovarsi davanti ad una delegazione di pagamento rifiutata. Cerchiamo allora di capire chi può rifiutarla, perché e se ci sono delle possibilità di modificare un rifiuto in un assenso.
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Come funziona la procedura di richiesta
L’aspetto che accomuna la cessione del quinto e la delegazione di pagamento riguarda le seguenti condizioni e requisiti:
- si deve essere un dipendente;
- si deve avere uno stipendio che permette di raggiungere una quota di cessione del quinto e del doppio quinto accettata dal finanziatore (banca o finanziaria);
- ci si deve rivolgere ad un istituto di credito che preveda questi prodotti tra quelli che propone (non è detto che la società che propone la cessione del quinto offra anche la delegazione di pagamento);
- la rata può raggiungere al massimo il 20% dello stipendio netto.
Come si può notare non abbiamo inserito nell’elenco la cessione del quinto della pensione, dal momento che i pensionati non possono sfruttare il prestito con delega di pagamento. Oltre a questa differenza c’è poi da considerare:
- le restrizioni applicate sul tipo di impiego che nel caso della delega di pagamento possono essere di più rispetto alla cessione del quinto;
- nel caso della cessione non avviene una valutazione di ‘merito’ del datore di lavoro, ma questa è prevista nel caso del prestito con delega di pagamento.
Fatte queste premesse e queste distinzioni, abbiamo già vari punti che ci aiutano ad individuare i casi in cui la delegazione di pagamento può essere rifiutata.
Il possesso dei requisiti necessari per ottenere la cessione del quinto non aprono automaticamente la strada alla concessione del prestito con delega, in primis per una questione temporale. Una delle motivazioni di rifiuto è spesso il fatto che i requisiti che si avevano al momento della richiesta della cessione sono venuti meno (per esempio un cambiamento nello stato di salute del richiedente).
Ma la causa forse più frequente di rifiuto è dovuta alla valutazione di merito. Qui dobbiamo fare una precisazione, in quanto la cessione del quinto e il prestito con delega non si basano su un criterio di valutazione del merito creditizio, che è quello adottato negli altri tipi di prestito (compresi i mutui), dove si vaglia la reputazione creditizia del richiedente (buon pagatore, cattivo pagatore o giudizio neutrale).
Ma se nel caso della cessione del quinto, una volta appurato il possesso dei requisiti necessari, l’accettazione risulta essere molto probabile per la delegazione non è così. In questo caso infatti gli attori che possono bloccare la pratica sono diversi.
Ma chi può fare questo tipo di valutazione entrando nel merito della richiesta? Sia la finanziaria o la banca (il finanziatore) che il datore di lavoro o l’amministrazione pubblica che poi si dovrà occupare della trattenuta a monte delle rate e del pagamento. E al rifiuto non deve seguire in modo obbligato anche una motivazione e tanto meno c’è il dovere di spiegare.
L’ingerenza del datore di lavoro si verifica soprattutto nel settore privato. Allo stesso modo, prima di far partire la fase di istruttoria vera e propria, è ormai prassi che la finanziaria o la banca senta il datore di lavoro o l’amministrazione, per appurare se ci sarà disponibilità a procedere, così da ridurre i rischi di tempo e risorse sprecate nelle fasi successive.
Dobbiamo distinguere le due ipotesi di possibile rifiuto: quello del datore di lavoro e quello dell’Istituto finanziario interpellato. Nel caso in cui fosse il datore di lavoro a rifiutarsi, allora al dipendente rimane poco margine, se non quello di far capire la propria necessità e sperare che da questo scambio si arrivi ad un cambiamento di rotta.
Se invece il datore di lavoro è propenso, ma è l’Istituto finanziario che ha manifestato il rifiuto, si potrà tentare con qualche altra società e sperare in una maggiore fortuna. Tra l’altro nella ricerca di un’altra banca o finanziaria, ci si dovrà concentrare sulle limitazioni di accesso relative al tipo di attività svolta dalla propria società, tipo di società, dimensioni, fatturato e numero di dipendenti. Questi parametri non sono univoci, ma dipendono dalle scelte interne fatte da ciascun gruppo di banche o finanziarie.
Non si ha invece alcun margine di miglioramento se il motivo per il quale si arriva alla delegazione di pagamento rifiutata è dovuto al superamento della soglia massima di importo che può essere impegnato del proprio stipendio. Per legge , conteggiando tutti i tipi di trattenute a monte (come pignoramenti, pagamenti di assegni per separazioni, cessione), si può arrivare al massimo al 50% del totale. Quindi dato che la delega di pagamento porterebbe, in aggiunta alla cessione del quinto, il totale impegnato al 40% come massimo, diventa più facile che si arrivi a superare la soglia del 50% se ci dovessero essere altre trattenute, che avevamo potuto non considerare durante la richiesta della sola cessione del quinto.